Anna Calvi – One Breath
(2013) – Domino Records
Prima di ascoltare “One breath”, la domanda che passa per la testa è necessariamente: “Quanto ha significato Anna Calvi per gli avidi di rock, sin dall’uscita del suo esordio solista?”. Di quante aspettative si è caricata dal 2011 ad oggi? Dopo due anni dall’uscita di quel capolavoro che è “Anna Calvi”, sto per ascoltare il suo secondo lavoro pregando gli dei tutti di far sì che questo nuovo mito del rock esca a testa alta dall’album più difficile della carriera di un artista.
Figlia di padre italiano, Anna Margaret Michelle Calvi, imbraccia la chitarra e il violino fin da piccola. Dopo i vent’anni si approccia al canto studiando Edith Piaf e Nina Simone. Il fatto che gli strumenti siano zuppi di sudore si sente dai primi dieci secondi di qualunque brano. E si sente parecchio. Ma, invece che rendere il tutto sterilmente cerebrale, la nostra eroina piega abilmente le (molte) conoscenze e la (sterminata) tecnica ad un risultato capace di far vibrare lo stomaco anche a basso volume (sempre che ci sia qualcuno capace di ascoltare Anna Calvi a basso volume). Dopo l’esperienza Cheap Hotel, il folletto prezzemolino della grande musica del ‘900 (Brian Eno, ovviamente), diventa suo “mentore” arrivando a definirla: “La miglior cosa dai tempi di Patty Smith” in un’intervista a BBC 6 Music. Firmato il contratto con la Domino (Franz Ferdinand, Robert Wyatt, Elliott Smith, The Kills, Pavement, ecc.), Anna si prepara al pubblico delle tournée mondiali di fronte alle platee degli Interpol (in Inghilterra) e Nick Cave (tour europeo dei Grinderman).
Il disco d’esordio, di cui, in questi anni, si è parlato moltissimo (ma sicuramente non a sufficienza) ci ha presentato una compilation di hit rock da far tremare il sangue nelle vene, seducenti brani colmi di inquietudine, punteggiati da arpeggi chitarristici che condurrebbero i Santi, ordinatamente in fila indiana, verso l’inferno più nero. Questa cornucopia di singoli ha portato ad avere grandissime aspettative per il seguito della carriera dell’artista di Twickenham. Artista, va detto, caratterizzata da uno stile assolutamente unico costruito su miti della grande musica tout-court (Hendrix ed Edith Piaf per citare le prime due influenze dichiarate) interiorizzati, masticati e restituiti attraverso una musica che non è altro se non Anna Calvi.
Nell’ascolto del secondo cd, la prima cosa che si può notare è che ci troviamo di fronte alla stessa donna piena di talento dell’esordio e che nemmeno in questo disco c’è posto per la banalità. Sospiro di sollievo generale. Le atmosfere paiono in genere più rarefatte e meno incalzanti, dimostrazione che Anna Calvi non ha nessun bisogno di nascondersi dietro a muri di suono esagerati e che riesce a destreggiarsi abilmente tra diverse intensità di suono. Stupisce l’inserto elettronico del raffinato brano “Piece by piece”, o la super saturata “Love of my life” che porta una ventata di stoner pesantissimo: al di fuori dei canoni a cui Anna Calvi ci aveva abituato, ma restando, pur nella loro diversità, sempre affini e coerenti al resto del disco. I brani sono istantanee di un mondo interno alla mente dell’autrice che ha dichiarato come suo obiettivo quello di riuscire a ipnotizzare il pubblico fino ad attrarlo all’interno del mondo di ciascun brano. Infatti ciò che si prova durante l’ascolto è assimilabile a una sensazione di sospensione del tempo, che poi riparte nei pochi secondi che separano le tracce, del disco, per finire in un nuovo tuffo all’interno di una fotografia cupa in cui i volti dei personaggi immobili ti fissano muovendo gli occhi.
Forse colpisce in maniera meno violenta rispetto al primo disco, ma non perde nemmeno per un secondo la raffinatezza e il suo stile unico (con quella voce sarebbe impossibile), meno riflettori puntati sulle chitarre, meno rumore, ma molte più melodie sbieche e disturbanti. Se “Desire” e “Suzanne and I” ti entravano dentro bucandoti il petto, le nuove “Eliza”, “Cry” e “Bleed into me” ti si insinuano subdolamente sotto pelle scendendo più in profondità ad ogni nuovo ascolto.
Lo stile di Anna Calvi è ancora così particolare da far sì che tutto ciò che tocca sembri smembrato e ricostruito “Calvizzato” come testimonia, per esempio, la cover di “Wolf like me” dei TV on the Radio. Questa è una grande cosa, comune a tutti i “grandi”, ma che, alla lunga può ritorcersi contro l’artista, quando non sufficientemente ispirato o innovativo (pensiamo agli ultimi R.E.M. o agli U2 post “Achtung baby”). Mi auguro quindi per il futuro che Anna Calvi non si fossilizzi su sé stessa, ma, piuttosto, resti costantemente in fuga. Questo secondo disco, con l’abbandono delle favolose schitarrate furenti mi fa pensare che possa essere questa la via che l’autrice ha deciso di percorrere.
Già sapevamo che Anna Calvi sa cantare, sa suonare, sa comporre musica e sa scrivere testi, con questo album impariamo che sa pure mettersi in gioco, ma, soprattutto, che sa sempre colpire al cuore.