(2008)
Il cinema orientale è stato saccheggiato in lungo e in largo dall’occidente (va detto che agli inizi la cosa è stata reciproca), ma c’è una cosa che nessun occidentale è mai riuscito a riprodurre, ovvero la sensazione di pace che certi cineasti dell’estremo oriente sanno trasmettere. Per quanto grande possa essere un regista occidentale, può riuscire a omaggiare Takeshi Kitano o Park Chan-wook, persino il mio amatissimo Kurosawa (forse tra i più saccheggiati della storia, e vorrei ben vedere…), con grandi storie d’avventura, iperviolenza, vendette atroci, ma non ho mai visto, e sottolineo “MAI”, un occidentale riuscire a rendere sul grande schermo la sensazione di quiete e di comunione con il mondo che sanno ispirare alcune pellicole dell’est estremo, tra cui “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” di Kim Ki-duk o, appunto, “Departures” di Yōjirō Takita.