domenica 29 giugno 2014

Provincia bastarda

Il capitale umano – Paolo Virzì
Italia (2014)


Cos’è quel senso di colpa che ti prende quando, dopo aver visto “Il capitale umano”, decidi di scrivere un pezzo su “Maps to the stars” di Cronemberg? Forse che Cronemberg non ha bisogno di altra visibilità e Virzì (pur non essendo tra i miei registi preferiti) ne dovrebbe avere di più? Forse che il buon cinema italiano ne dovrebbe avere di più? Fatto sta che oggi parliamo di storie private nella fredda provincia del nord, all’avvento della crisi finanziaria.

“Il capitale umano” è un film corale, suddiviso in capitoli che si intrecciano tra loro alla maniera di Iñárritu, ma in cui Virzì ci regala, come suo solito, eccellenti spaccati di quotidiana trivialità borghese, quasi antitetici alla poesia struggente del collega messicano.
Si parte con un cameriere in bicicletta che viene investito da ignoti, si torna indietro nel tempo e si prosegue con Dino Ossola, un padre pronto a sfruttare la relazione della figlia con l’erede della ricca famiglia dei Bernaschi per entrare nel loro fondo, indebitandosi e perdendo i soldi della sua stessa attività, vedendo poi la figlia accusata di aver investito il malcapitato cameriere. Poi si torna di nuovo all’inizio della vicenda con la moglie di Bernaschi, ricca, annoiata, psicologicamente fragile e sottomessa al marito, che si perde nelle sue battaglie (salvare un vecchio teatro) e in una relazione extraconiugale. Cose che le impediscono di accorgersi (forse non del tutto involontariamente) delle attività criminali del marito e della deriva di un figlio troppo viziato, proprietario dell’auto che ha investito lo sventurato cameriere. Infine Serena, la figlia di Ossola, il personaggio forse meno negativo della vicenda, ma non abbastanza sveglio ed educato alla legalità (quella che il nord Italia sbandiera ipocritamente) da saper fare la scelta giusta.
La piattezza dei personaggi e la mole di stereotipi cuciti addosso a protagonisti e comprimari calzano a pennello. In ognuno di loro si possono riconoscere concittadini, parenti e conoscenti accasati nelle sventurate cittadine prealpine. Terre in cui il tamarro viziato è tamarro viziato e basta, nessuna sfumatura è concessa dalla realtà. Nessun riscatto, perché le cose sono immobili (nel bene e nel male) e stereotipate, proprio come appare nel film.
Ce n’è per tutti. Per gli speculatori folli che investono sulla crisi del proprio paese in modo che a rimetterci siano gli altri, per un’”elite” culturale capace solo di litigare e parlarsi addosso, per famiglie che pensano che viziare sia uguale a voler bene, per la doppiezza delle grandi occasioni, per l’uomo comune, tanto pieno di sé stesso, da voler mettere il naso in cose più grandi di lui se c’è il denaro di mezzo. Nulla di nuovo, certo, ma sono mazzate a raffica, ben condensate, contro il peggio della terra in cui vivo e che riconosco perfettamente in questa pellicola.
Ben fatto, dal punto di vista visivo, nulla che faccia gridare al capolavoro. Cosa che si intona perfettamente con il tono della pellicola. Non è la magniloquente critica alle Elite della capitale di Sorrentino, che necessita di eccesso visivo. Qui si parla di cittadina, di borghese medio, di dramma famigliare. Non si sente davvero il bisogno di sequenze visivamente impressionanti.
Un film da proiettare nei cinema all’aperto della provincia in quest’estate che sta cominciando. Quanta gente potrebbe prendere un minimo di coscienza su quanto siano falsi, ciechi, amorali e stupidi… gli altri, quelli del paese vicino, certamente non loro, loro hanno un bravo figlio che si merita il nuovo suv, comperato con i soldi che il fisco voleva rubare.