mercoledì 23 luglio 2014

Storici architetti del futuro

Public Service Broadcasting – INFORM – EDUCATE – ENTERTAIN
Inghilterra (2013)

Due sono le cose inconfutabili di questo articolo. La prima è che non sono in grado di rendere minimamente l’idea di cosa i PSB mi smuovono nelle viscere con questo loro disco d’esordio. La seconda è che quando dei nerd londinesi ci si mettono, possono portarti sull’Everest con uno Spitfire lasciandoti incollato alla poltrona. Potere del suono.

Il primo punto, necessariamente da toccare, riguarda la lucida follia di J. Willgoose Esq. (chitarre, banjo, campionamenti, elettronica, cosplay del Dottore, ma senza cacciavite sonico) e Wrigglesworth (percussioni, tastiere, elettronica). Questi figuri in tweed e occhiale spesso che paiono usciti da una puntata dell’ottimo The Hour, non fanno altro che riprendere vecchio materiale dagli archivi della BBC, vecchi film, materiale di propaganda, tagliare, risuonare, incollare con il dichiarato intento di “insegnare la lezione del passato con la musica del futuro”.
Il secondo punto è il suono. Il disco che ho sempre reputato avere il suono più vicino alla perfezione (per quanto riguarda il mio gusto, chiaramente) è “Tabula rasa elettrificata” dei C.S.I., almeno fino al giorno in cui ho ascoltato questo. Suoni capaci, tra sintetizzatori, banjo, chitarre, elettricità statica, campanacci e saxofono, di avvolgere e innalzare la potenza evocativa, già di per sé elevatissima, dei testi.
Il terzo punto sono, appunto, i “testi”, si potrebbe dire che la loro qualità sia direttamente debitrice della qualità delle trasmissioni d’epoca, ma la ricerca, il riarrangiamento, la loro perfetta fusione con la musica, valgono da sole il prezzo del disco.
A testimoniarlo un piccolo estratto da “Everest” che parla di sfida alla montagna, di scienza, o di ricerca in campo musicale?

A climber climbs with his guts, his brains, his soul and his feet. All of them bound for a cold, white world. A world that is up, and up.
The air is getting thinner. At such heights when you're lacking oxygen, you may think you're normal, but you're not.
You're moving in a dream, a dream that deludes and debilitates.
Two very small men, cutting small steps in the roof of the world.
Why should a man climb Everest?
Because it is there.

L’unico lavoro a cui riesco ad accostare la potenza immaginifica di questo (molto simile anche per metodologia e strumenti) è quel capolavoro di “My Life in the bush of ghost”, in cui Byrne e Eno, nel lontano 1981, ci portavano oltre ogni confine anche solo vagamente immaginabile, usando campionamenti di trasmissioni radiofoniche e inserti di world music. Ovviamente qui ci troviamo in presenza della progenie spirituale di quel disco; molto più facile e immediato rispetto a quell’opera immensa, ma non per questo privo di originalità e bellezza.

Uno dei maggiori punti di forza di questo geniale organismo sonoro è forse l’utilizzo filtrato di un passato in cui l’etere raccontava il mondo esterno invece che parlare di sé, per infondere fiducia nel presente, nella razza umana e, di conseguenza nel futuro. Favole, forse. Ma stupende favole che ti entrano nel cervello e ti fanno stare bene.
E poi c’è l’aura di perfezione emanata da ogni brano. Se si potessero consumare gli MP3 (in attesa di prendere il disco) direi che questi file li ho consumati per mio diletto, e poi, dovendo scriverci un articolo per il blog, li ho riconsumati, e non sono ancora riuscito a trovarci il minimo difetto.