lunedì 15 luglio 2013

Europeans do it better

Les Revenants – stagione 1
Canal+ - (2012)

La butto lì così, in modo che sia tutto chiaro fin dall’inizio, che poi non si dica, quando tutti avranno una maglietta di “Les Revenants”, che a me piaciucchiava, o, peggio, che i miei giudizi erano tiepidi. Ecco, sgombriamo il campo dai fraintendimenti. Questa è una delle migliori serie che mi sia capitato di vedere. Potrebbe essere anche in lizza per il primo posto (mi dispiace, caro David, ma è così). Scrivo questo commento a circa 24 ore dai titoli di coda dell’ultimo episodio della prima stagione. Un finale memorabile, di quelli che non possono deludere nessuno. Uno di quelli che aspettare il 2014 per la seconda stagione sarà dura, dura quasi come vedere una puntata di Dr.Who dall’inizio alla fine.


La scena si apre quando alcune persone, di età e date di morte differenti, ricompaiono in un piccolo paesello delle Alpi francesi. Queste, senza rendersi conto essere passate a “miglior” vita, sembrano ben decise a cercare di ricominciare la propria esistenza terrena dal punto in cui era stata interrotta anni prima.
Inutile precisare che le reazioni di amici e familiari, in genere, non sono granché composte. Stiamo parlando di cose tipo una ragazzina di quindici anni che torna a casa 4 anni dopo la morte in un incidente stradale: “Ciao mamma sono a casa!” Ecco, cose di questo tipo.
Contemporaneamente, il livello della diga che sovrasta il paese comincia a scendere lentamente e inspiegabilmente. L’intreccio è talmente ben costruito che dire anche una sola parola in più a proposito della trama sarebbe uno spoiler, per cui mi fermo e vi rimando alle splendide immagini di questo trailer in cui è possibile dare uno sguardo ai protagonisti e sentire parte dei temi musicali che compongono una colonna sonora di quelle che lasciano il segno, completamente firmata dai Mogwai (no dico, Mogwai! L’intera colonna sonora! Arrivederci, signor Badalamenti).
La seconda cosa da mettere in chiaro da subito è che, per quanto all’inizio le atmosfere ricordino vagamente Twin Peaks (oscurità, boschi verdeggianti, montagne, nebbia, mistero), dopo pochi episodi risulta chiaro che la vera serie a cui Les Revenants andrebbe accostata è Lost. Qui siamo tra le Alpi francesi invece che in un’isola del pacifico, ma in ogni puntata un flashback ci riporta nel passato dei Ritornanti (meccanismo però meno “abusato” rispetto alla serie di J.J. Abrams), inoltre, la conoscenza graduale che lo spettatore acquisisce, dando una risposta e ponendo altre cento domande ad ogni episodio è molto simile, pure le atmosfere, per quanto le ambientazioni siano quasi antitetiche hanno una certa rassomiglianza e, per quanto nel caso dei ritornanti si parli di morti viventi, sono le componenti misterica e drammatica ad averla vinta su quella orrorifica.
La serie è francese e non è un mero particolare, non potrebbe essere altro, si sente a pelle dall’inizio alla fine: tempi dilatati, cura maniacale dei particolari, dialoghi raffinati, ottime scene d’azione, a patto che per scene d’azione intendiate quelle in cui un attore passeggia, prende l’autobus o fa colazione. La fotografia è un piacere per gli occhi e le stupende location, unite ad una recitazione veramente credibile, catapultano in un sonnecchioso paese Alpino in cui tutti, pur conoscendosi, riescono a mantenere una discreta quantità di scheletri e morti misteriose nell’armadio (tranquilli, non è un paese di serial killer, considerando le idiozie che si sono viste ultimamente è meglio puntualizzare). In otto episodi non ricordo di aver pensato nemmeno per cinque minuti di assistere ad un riempitivo. Per quanto i tempi siano lenti e la tensione abbia un andamento fisiologicamente variabile, gli episodi scivolano via uno dopo l’altro densi e interessanti, tenendoti incollato alla poltrona fino ad un crescendo finale memorabile che culmina quando,durante l’ultimo episodio, ti senti un ghigno sulla bocca e ti si forma nel cervello la frase: “Questi fottutissimi geni sono riusciti a fregarmi”.
Fortunatamente (o sfortunatamente, a seconda delle vostre opinioni sui doppiaggi) non esiste null’altro che la versione originale completa, per il momento. Stanno trasmettendo giusto dal mese scorso la prima visione inglese. Io, e lo dico con la gioia di un sostenitore dei sottotitoli, prevedo che qui il partito del “no al doppiaggio” guadagnerà una miriade di consensi, perché la recitazione è veramente eccezionale e non vedo come un qualunque doppiaggio, per quanto ben fatto, possa sperare di avere una resa dello stesso livello. Regia e interpretazione degli attori riescono senza sbavature a rendere credibile una trama che, capite pure voi, son poi i soliti morti viventi.
Consiglio quindi senza tentennamenti di vedersi questo capolavoro squisitamente europeo, prima che gli americani si prendano i diritti, trasformino le Alpi in una pianura del Mid-west e sostituiscano i dialoghi con raffiche di mitra e bombe a mano per dare il benvenuto ai ritornanti. Insomma, prima che faccia la fine di Dylan Dog (R.I.P.). Non potrebbe sicuramente fare gli ascolti di The Walking Dead, questo è sicuro, anche se l’argomento, sotto sotto, ma molto sotto, è lo stesso. Qui siamo decisamente su di un altro livello (per quanto trovi The Walking Dead una serie decisamente ben fatta e godibile). Il vero colpo di genio è quello di riuscire a stupire reinventando il concetto di zombie, al punto che forse non è più nemmeno esatto definirli con questo nome. Sarebbe forse più adatto definirli risorti, o semplicemente ritornanti, come suggerisce il titolo. Se a questa serie verranno dati gli spazi, il risalto e il rispetto che merita, potrebbe rivelarsi uno dei futuri capisaldi dell’intrattenimento seriale. Spero solo che, come capita troppo spesso a prodotti intelligenti e ben fatti, non finisca con il venire relegato a fasce orarie improbabili o sia destinato ad un remake banalizzante che ne disperda pathos, dramma e complessità.
Chiudo lanciando una cima verso la sezione musica con la bellissima colonna sonora che ha dimostrato, sempre che ce ne fosse bisogno, con quanta maestria la band scozzese sappia accantonare i muri di chitarre per aprirsi a suoni ed atmosfere decisamente più inconsueti per il post-rock. Quindi eccovi la favolosa Wizard Motor (il pezzo sicuramente più à la Mogwai della colonna sonora) suonata dal vivo dagli autori. Sarebbe poi bello sapere se anche a voi dovesse capitare, alla fine di ogni episodio, durante i titoli di coda, di sentire una voce d’oltretomba sussurrare in francese: “Americani, copiateci adesso se siete capaci”.


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