giovedì 23 gennaio 2014

Quel confine sottile tra realtà e finzione

Vogliamo vivere! – 
Ernst Lubitsch – USA 1942



Ok ok, so già cosa starete pensando: che sono il solito nerd cinefilo che si sorbisce film ultra datati, ipercervellotici e sconosciuti ai più solo per il gusto di appiopparli agli altri e di dire “Non l’hai visto? Male male! E’ un capolavoro, è sublime!” Alla stregua di Fantozzi e della Corazzata Potemkin.
Vi chiedo per un attimo di darmi ascolto e di abbandonare (se li avete) i vostri pregiudizi. Il film di Lubitsch è, a mio giudizio, un vero capolavoro.

La vicenda si svolge a Varsavia, nel 1939, alla vigilia dell’invasione nazista e dello scoppio della seconda guerra mondiale. I protagonisti sono una compagnia di attori polacchi, che sta mettendo in scena Amleto e che sta preparando una nuova rappresentazione teatrale su Hitler e i tedeschi.
Lo scoppio delle ostilità e l’intervento della censura impediranno ai nostri la realizzazione del nuovo progetto; essi si troveranno poi, per una serie di circostanze, ad avere in mano le sorti della guerra e, grazie al loro intervento, riusciranno a porre fine alle ostilità e a salvare un intero continente.
Sottolineo due cose: innanzitutto che la traduzione italiana del titolo è, come spesso accade, infelice, e banalizza non poco la scelta (non casuale) di Lubitsch di intitolare il suo film con le parole che danno inizio al celebre monologo di Amleto: to be or not to be. La seconda è che ci troviamo di fronte essenzialmente ad una commedia, ad un film comico. Una comicità che definirei esilarante, frutto di situazioni surreali e molto divertenti, orchestrate in maniera perfetta dal regista. Infatti la compagnia teatrale, guidata dalla splendida attrice Maria Tura (nella realtà Carol Lombard) e dal marito, si troverà a dover recitare la commedia (precedentemente censurata) nella realtà. Tutto ciò per far sì che ai tedeschi non giunga un messaggio proveniente dall’Inghilterra, che segnerebbe la fine del movimento sotterraneo di rivolta e delle sorti della Polonia. Ecco perciò che il loro teatro si trasforma nel quartier generale dei tedeschi; che il vanitosissimo e gelosissimo attore Joseph Tura, una volta indossati i panni del generale tedesco Erhardt, rischia di mandare a monte il piano e di mettere a repentaglio la vita di tutti una volta scoperta la presunta infedeltà della moglie (eh sì, anche qui non manca una sana storia d’amore fedifraga); e che un assai poco talentuoso attore si ritrova ad essere nientemeno che Adolf Hitler. C’è da dire che alla buona riuscita della missione contribuisce anche l’inettitudine dei generali tedeschi (sconfitti addirittura da un manipolo di attori!) che vengono rappresentati come degli zoticoni, capaci soltanto di adulare il proprio Führer.
Nel frattempo Lubitsch ci mostra, con sguardo ironico e allo stesso tempo dissacrante, l’insensatezza della guerra. Il regista dá prova di grande coraggio: fare un film di condanna del genere nel 1942, a pieno conflitto in corso, che ridicolizza Hitler e i suoi, non dev’essere stato facile.
Il titolo del film, inoltre, non viene scelto a caso. Oltre a riferirsi direttamente ad un episodio divertente in esso contenuto, crea un evidente parallelismo con la tragedia di Amleto, sia per quanto riguarda i temi che per quanto riguarda le situazioni: il tema del dubbio e dell’incertezza dei valori, della corruzione legata al potere, e, soprattutto, il tema della rappresentazione all’interno della rappresentazione, una vera e propria riflessione sul senso del teatro. Ad un certo punto, infatti, i due piani del reale e della finzione si sovrappongono, si confondono, i loro confini diventano via via sempre più sfumati.
Infine due cose da segnalare: la prima è la scena finale del teatro che brucia, ripresa poi successivamente e resa celebre da Quentin Tarantino nel suo film Inglorious Basterds. La seconda riguarda tre divertentissimi sketch presenti nel film. Perdonate lo spoiler, non v’impedirà certamente di gustarveli. All’inizio del film l’attore che impersona Hitler, stufo di essere costretto al silenzio, all’entrata e al saluto dei suoi generali risponde con un alquanto improbabile “Heil to myself!”; durante la rappresentazione di Amleto, inoltre, poco prima che il protagonista inizi il celebre monologo che dà il titolo al film, il suggeritore, da sotto il palco, preso da grande zelo, sussurra l’iniziale “to be or not to be”; infine l’ultimo siparietto comico riguarda l’ira di Amleto, che per ben tre volte nel corso del film vede uno spettatore alzarsi all’inizio del monologo. Affranto e terrorizzato dal fatto di aver perso la sua grande vis recitativa non si accorge, da vanesio qual è, che quello è il momento in cui la moglie incontra l’amante.