Infectious, Canvasback Music – (2012)
Partiamo con il dire che l’esordio degli Alt-J (shortcut usata sui mac per scrivere “Δ”) è un disco che ha diviso. Come giovani Mosé dediti all’acido, questi musicisti con base a Cambridge hanno attraversato il mar Rosso della musica contemporanea stando ben attenti a costeggiare la riva. In questo modo hanno saputo dividere il mare di gente che considera “An Awesome Wave” il miglior disco del 2012, dalla schiumetta sul bagnasciuga che pensa sia un disco trascurabile.
Io sto, lo svelo subito, tra quelli che lo considerano il miglior disco del 2012. E mi pare giusto riassumere in breve i miei motivi: varietà e gusto nel miscelare suoni analogici e digitali.
Sono solo due parole d’ordine che adesso passerò a sviscerare riassumendo la scaletta.
Probabilmente ciò che ha fatto storcere il naso ad alcuni è che il brano di partenza non ha la forza di una hit, diversamente da ciò che succede di norma. E’ un buon brano introduttivo, ma abbastanza in linea con spirito e suoni che vanno oggi nel mondo indie. Basta però arrivare al secondo brano per cambiare radicalmente idea. La sensazione che dà potrebbe essere quella di un nastro di Crosby, Stills and Nash fatto a pezzi in uno dei loro litigi e rimesso assieme con lo scotch da un produttore folle. E questa è solo la prima sorpresa spiazzante del disco.
Tessellate, con incedere tamarro, stemperato dalle chitarre pulite e dalle raffinate trovate melodiche, ci porta verso una Breezblocks in cui comincia a farsi notare una grande perizia nell’uso dei vuoti per spiazzare l’ascoltatore e nelle variazioni che liberano dalla gabbia del meccanismo strofa/ritornello. Something Good viene introdotta da sincopi di chitarre e percussioni in un crescendo di tensione che esplode negli arpeggi di tastiera e poi Dissolve Me che si regge sulla contrapposizione tra le cupe linee di basso sintetiche delle strofe e un ritornello in cui la band si blocca per lasciare spazio al sussurro di Joe Newman. Al numero 8 della scaletta viene inserita la hit pop del disco, Matilda, con i suoi arpeggi di chitarra, che segna anche un’ideale boa da cui partono i veri pezzi forti del disco. Tutti i meccanismi e le strategie introdotti nei brani precedenti trovano sintesi e compimento in Ms e Fitzpleasures. Cori, silenzi, pause, ritmiche mai banali e melodie rette dal triangolo (strumento), giustapposizione di elettrico e sintetico, melodie sognanti e continue variazioni all’interno dei brani. Un breve interludio ci porta a Bloodflow che ci lascia riprendere il fiato con le sue atmosfere dilatate, per poi tornare a toglierlo con la ritmica corale del finale. E Taro è la degna conclusione di un ottimo album, scenari di guerra in cui il ritornello è lasciato unicamente ad una chitarra che odora di Gange e incenso.
Forse non sono un gruppo che distrugge i locali quando sale sul palco, si limitano a dare il meglio timidamente e senza sbavature. Fanno il lavoro che ci si aspetta da una giovane band agli esordi, regalando una discreta performance. Nulla a che vedere con gli spettacoli plasticosi, insipidi e artefatti di altre giovani band a cui mi è capitato di assistere ultimamente (XX non abbiatene a male). Ma stiamo sforando nel live ed è una storia che qui non interessa.
Si fa fatica a non accostare le parti ritmiche di molti brani ai lavori recenti di Thom Yorke, ma invece di dirigersi verso la ritmica pura, come ha dichiarato di voler fare il trickster di Oxford, i nerd di Cambridge preferiscono legarla a melodie alternate a trovate spiazzanti. Le chitarre pulite, la bravura con cui sanno giocare sia con il denso che con il rarefatto e il gusto raffinatissimo nella scelta dei suoni portano gli Alt-J ad aggiudicarsi il titolo di campioni musicali del 2012, nonostante la scarsa esperienza.
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