Silver Spoon - Hiromu Arakawa
(2012-in corso) – Planet Manga
Sì, ok, il titolo forse è un po’ eccessivo, ma è giustificato dal fatto che la Arakawa in “Silver spoon” fa esattamente ciò che ha fruttato una buona serie di capolavori a Wilder. Prende una storia scanzonata, magari con elementi non proprio commerciali (Irma era una prostituta, Ciccibello Baxter uno zerbino del capo, per prenderne due a caso) e la racconta in modo impeccabile. A questo aggiungete pure il fatto che voglio attirare l’attenzione di chi bolla il fumetto (specie i manga) come un mero prodotto di intrattenimento per ragazzini. “A qualcuno piace caldo”, “Irma La dolce”, “L’appartamento”, "Non per soldi... ma per denaro", cosa sono, scusate? Mi pare che, prima di essere opere d’arte immortali, siano prodotti d’intrattenimento e godibilissime commedie.
Partiamo dall'autrice Hiromu Arakawa classe ’73 forse non dirà molto ai lettori italiani più disattenti, ma tre paroline magiche contribuiranno a risvegliare la memoria: “Full Metal Alchemist”. Ovvero, parlando di shonen tradizionale, uno dei più interessanti degli ultimi anni e, nel caso degli alchimisti come in “Silver spoon”, ciò che fa la differenza è proprio l’abilità della Arakawa sceneggiatrice. L’autrice è in qualche modo un’anti-Urasawa, perché dove il sensei di Fuchū tende a imbrogliare trame complesse con intrecci inestricabili senza mai svelare dettagli che aiutino nella comprensione (vedi Billy Bat), lei tende a semplificare. Questo non vuol però assolutamente dire che le sue opere siano una sequela di banalità. Semplicemente, con il suo disegno essenziale e pulito, con una narrazione lineare e con buoni dialoghi riesce ad ampliare il bacino di lettori rendendo le proprie opere immediatamente comprensibili senza far scadere la qualità del lavoro (qui devo far presente che mi riferisco solo alle sue due opere che conosco, ovvero “FMA” e “Silver spoon”).
“Silver spoon” comincia come un tipico school-life manga a cui manca, nel primo capitolo, un personaggio appena trasferitosi nella classe del protagonista e destinato a sconvolgergli la vita. Questo perché chi si trasferisce, in questo caso, è proprio il protagonista. In rotta con i genitori che lo vorrebbero primo della classe e destinato ad un’università di fama, Yugo Hachiken decide di andarsene dalla metropoli ed iscriversi ad un istituto agrario un po’ per ribellione, un po’ per voglia di eccellere senza fatica. Qui scoprirà che esiste una fatica ben diversa dalla fatica di dover soddisfare le aspettative della famiglia, scoprirà una società in cui oltre alla competitività esiste la cooperazione, scoprirà tradizioni giapponesi in via d’estinzione e, soprattutto, scoprirà che se si vuole mangiare carne, ci sono animali da allevare e da uccidere. Può essere interessante notare che la Arakawa è nata e cresciuta in una fattoria dell’Hokkaido e si è diplomata in un istituto agrario, giusto per puntualizzare che conosce a fondo ciò di cui parla.
Una delle caratteristiche che rendono veramente interessante il manga in questione è che nulla viene introdotto senza che l’ansioso e protagonista metropolitano si ponga una moltitudine di domande. E’ giusto uccidere per mangiare? E’ giusto sfruttare intensivamente gli animali? Che ruolo hanno le antiche tradizioni nel mondo moderno? E’ giusto sfruttare un animale per lo sport e abbatterlo quando diventa un peso? Domande a cui Yugo darà risposte molto personali e che implicano la necessità per l’essere umano di un certo grado di partecipazione e sofferenza. Il tutto è però condito con i topoi della commedia scolastica che contribuiscono ad alleggerire il tono del racconto (Wilder docet). Un’altra domanda che viene introdotta nei primi volumi e che pervade l’intera narrazione è se sia giusto, specie in un mondo del lavoro ipercompetitivo come quello giapponese, rincorrere sempre ciò che la società indica come modello di massima realizzazione per l’individuo o se ciascuno debba avere la possibilità di trovare una propria strada senza pressioni esterne che lo rendano non accettato, non competitivo e quindi uno scarto.
Per chi proprio non riesce a digerire i manga scolastici, questo non sarà sicuramente il capolavoro del decennio. Non lo è nemmeno per me che non parto prevenuto verso il genere, ma resta un’ottima lettura; probabilmente è la miglior commedia in corso al momento e merita uno sguardo. Chiunque disprezzi gli school-life non potrebbe comunque trascurare il fatto di avere in mano un fumetto, ottimamente scritto e mai banale. Come in un vecchio blues, gli elementi topici del genere vengono, presi, scombinati e ricombinati dall'autrice per creare qualcosa di nuovo, interessante e, dai diciamolo, pure molto divertente.
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