martedì 28 maggio 2013

Analisi di una mezza vittoria

In treatment – Stagione 1
(Wild side) – 2013


Innanzitutto, per capirci, dobbiamo fissare un punto: il remake non è necessariamente un male. Può capitare che esistano remake ben fatti, pure meglio degli originali e allo stesso tempo si possono produrre  cagate pazzesche, specie quando si tenta di semplificare e far diventare commerciale qualcosa che non lo è né deve esserlo. Se siamo d’accordo su questo assioma, possiamo dire che la versione italiana di In Treatment (remake della versione americana, a sua volta reinterpretazione dell’originale israeliano) segue pedissequamente ciò che viene narrato dagli americani, limitandosi a rendere i personaggi coerenti con il Belpaese. Oltre a questo, incredibilmente, nulla. Non ci sono i rutti,le spernacchiate e il qualunquismo che ci si aspetterebbe da una serie prodotta in Italia (Boris docet).
A parte gli scherzi, analizzando solo l’adattamento, In Treatment appare come un ottimo lavoro. Castellitto buca lo schermo e pure i comprimari si fanno valere. La regia è di alto livello e sembra che ogni inquadratura, ogni particolare delle scenografie ti strizzi l’occhiolino sussurrandoti: “Visto ? Visto che pure noi sappiamo fare una cosa tanto bellina? Visto quanti soldi c’abbiamo messo?”.
Per chi non ne abbia già goduto, inquadriamo velocemente la serie. Protagonista è uno  psicoterapeuta che, ogni giorno, dal lunedì al giovedì, segue un diverso paziente per i venti minuti di durata della puntata. Il venerdì è invece il protagonista stesso a fare una seduta di analisi con una collega, per poi ripartire il lunedì con il primo paziente. Venti minuti di (quasi sempre) puro dialogo tra due attori l’uno di fronte all’altro in uno studio. Nonostante le premesse riesce ad essere tutto tranne che soporifero.
Ottima produzione, ottima regia, ottimi attori, godibile, pure avvincente e, più importante di tutto, finalmente una serie italiana di qualità che sfrutta la continuità, superando la fase embrionale della sit-com e la ripetitività del formato autoconclusivo. Quindi, verrebbe da chiedersi, perché è solo una mezza vittoria?
Presto detto: per il fatto di aver preso la versione americana tanto alla lettera, difetti compresi. E’ vero che la continuità è abbastanza sfruttata, ma se, per dire, non vi dovesse piacere uno dei pazienti, potete semplicemente saltare la puntata di quel giorno, poco cambia. E, soprattutto, mi rendo conto che le schermaglie verbali sono l’unico espediente possibile per movimentare la scena, ma perché in tutte le puntate, un tizio che ha pagato 50€ (cinquanta euri tondi) per un’ora da un analista, si incazza perché non vuole sentire quello che il terapeuta ha da dire?

Per concludere, potremmo dire che un primo passo è stato fatto, la serie in questione merita di essere guardata, ma la strada da percorrere in Italia per arrivare a produzioni come Homeland o The Killing sembra ancora lastricata solo di sogni e carta bagnata.