martedì 13 maggio 2014

Unisciti al lato oscuro del Congresso

House of cards – Stagioni 1 e 2
USA – 2013

Su crossroads non si è nuovi all’argomento politico, ma fino ad ora (Viva la libertà, Borgen) si è preso in considerazione l’aspetto utopistico e ottimistico. Qui lasceremo da parte per un attimo il buon governo, per immergerci in paludi di intrighi, rancori e vendette che nemmeno in Game of Thrones. Con due stagioni concluse in America, non sui consueti canali televisivi, ma in streaming su Netflix, House of Cards già avrebbe qualcosa da dire sul futuro della fruizione del medium televisivo, ma a questo si affianca una produzione sontuosa che trasforma il romanzo di Michael Dobbs, (prima) e la miniserie britannica (poi) in un thriller politico epico.

Fulcro e mattatore della vicenda è il Congressman Francis “Frank” Underwood (un eccezionale Kevin Spacey) a cui è stata promessa la vicepresidenza, mica del Sultanato delle Merendine, mica dell’utopistica Danimarca di Borgen, ma degli Stati Uniti d’America. Questo viene sottolineato da ogni pulitissima e giganteggiante inquadratura di Washington e dei palazzi del potere (Washington pare Berna da tanto che lucidata e patinata). Cosa piuttosto fastidiosa e ridicola, in genere, soprattutto se priva di autoironia come in questo caso. Però, qui, la mancanza di ironia è fondamentale per il rovesciamento totale della bellezza e dell’epicità dei luoghi di Governo.
Tornando alla trama, fatalità vuole che il Presidente Eletto cambi idea sull’identità del suo futuro Vice. Errore madornale. Il simpaticissimo Frank decide di dedicare le proprie giornate (e nottate) al servizio della collettività per distruggere i vertici del proprio partito. Mica a farsi leggi ad personam, mica a ridurre il costo del lavoro, no, proprio a linciare i compagni di partito usando il prossimo in modo piuttosto simile a quello con cui Mc Guyver usava colla vinilica e forbici dalla punta arrotondata per costruire razzi nucleari.
La trama è quindi piuttosto semplice e lineare, praticamente è Machete, ma senza sangue e lame affilate, che qui sono sostituite con articoli di giornale o blog.
Accanto a Frank Uderwood e alla frigida moglie Claire (Robin Wright) si muovono (leggi: vengono mossi),
l’affascinante Zoe Barnes (Kate Mara), giornalista ansiosa di scalare le vette di blog e carta stampata e Peter Russo(Corey Stoll), deputato con problemi di droga ed alcool che Frank tende ad usare come una marionetta. Il tutto contornato da un discreto pantheon di politici corrompibili, lobbisti corruttori, giornalisti affamati e sindacalisti che, difendendo le categorie per cui lavorano dalle angherie di Underwood, passano per essere i cattivi della situazione.
La regia e la sceneggiatura sono praticamente perfette: si viene presi per mano ed accompagnati a parteggiare per i protagonisti, sfruttando il fascino del male e il frequente sfondamento della quarta parete e a dimenticare che, con una diversa narrazione degli stessi identici fatti, ci si aspetterebbe solo il meritatissimo tracollo di un protagonista che potrebbe tranquillamente ridurre a poltiglia impotente Tony Soprano e Nucky Thompson, ricattando, nel frattempo, i Sons of Anarchy, fino a renderli il suo esercito personale.
Come già accennato, la pulizia e la grandiosità della fotografia creano un interessantissimo contrasto con il sudiciume morale dei protagonisti. I personaggi sono perfettamente caratterizzati e, su tutti, Frank Underwood è praticamente perfetto: uno, forse “IL”, più grande stronzo e disumano sfruttatore figlio di puttana, calcolatore disonesto e bastardo ricattatore immorale della storia della televisione (la faccia di Spacey aiuta parecchio).
La continuity è sfruttata a piena potenza, sia tra episodi che tra stagioni. Il ritmo è lento il giusto per non avere buchi di memoria su nomi e avvenimenti, la vendetta scorre con naturalezza, senza assurdità plateali, con un paio di colpi di scena memorabili e pochissimi minuti in cui la tensione di fondo cala.

Una delle migliori serie degli ultimi anni.