venerdì 31 gennaio 2014

Punto e a capo

Baustelle – Fantasma
2013 - Italia

Osannato come disco dell’anno, ha goduto di un’ottima pubblicità per sui canali “alternativi”. Un disco che basta ascoltarlo e non occorre aggiungere altro. Allora a che serve parlarne? Due motivi. Primo: è talmente bello che non se ne parlerà mai abbastanza. Secondo: io i Baustelle non li ho mai sopportati. Non dal punto di vista della bellezza dei testi o dell’abilità di scrittura di Bianconi (che non mi pare possano essere messe in dubbio), semplicemente per scelte musicali che, a mio personalissimo parere, svilivano tutto il lavoro. Qualche pezzo qua e là non mi dispiace, ma nessun album mi aveva convinto per intero … fino ad ora.

I tempi erano ampiamente maturi per un altro gran disco in cui si esce dall’intimismo indietaliano con testi che non si adagiano sul consueto guardarsi l’ombelico. Qui il tiro è altissimo, i temi universali. Non ci sono ragazzini che sbraitano contro la società brutta e cattiva, non ci sono insulsi poppettini agrodolci da cuore infranto, non solo citazioni spiattellate in faccia. Nulla di questo, “Solo” una grandissima ispirazione, la voglia di lasciare il segno, costruzioni sonore e arrangiamenti orchestrali di fortissimo impatto e, ultimo, ma non meno importante, quell’agglomerato di citazioni (alte più che pop) masticate, digerite e rigettate che tecnicamente si chiama “cultura con i controcazzi”.
Non è sicuramente un disco semplice, nelle sue architetture monumentali (manco a farlo apposta “Monumentale” è il settimo brano del disco). Ma neppure privo di leggerezza. Ricordando che i Baustelle in questi ultimi anni si sono fatti le ossa realizzando le musiche per “Giulia non esce la sera” di Piccioni, può non stupire il fatto che la struttura dell’album sia quella di una colonna sonora, con tanto di tripla ripresa del tema “Fantasma” per i “Titoli di testa”, l’”Intervallo” e i “Titoli di coda”. Difficile non sentire sperticati omaggi a Morricone in questi brani (anche se dubito che l’immenso e “simpaticissimo” compositore abbia stima per i Baustelle). Tra questi brani scivola, a volte più, a volte meno allo scoperto, il tema del fantasma del passato o del futuro accompagnato da morte, storture sociali, religioni e apocalissi e murder ballads in romanesco.
Con queste premesse, questo disco potrebbe essere tranquillamente il più pesante macigno della storia della canzone italiana. Ma non va dimenticato che siamo parlando di una band che da ormai parecchi anni sta facendo una approfonditissima ricerca nel campo del pop, seppur con risultati che trovavo discutibili. Arrivati a questo di disco, però, i fili disseminati in tutti questi anni, vengono tirati e le parti arrivano a combaciare (quasi) alla perfezione. Nonostante i temi, l’epicità e i rimandi classici, tutto scorre con una leggerezza incredibile. I ritornelli di “Diorama”, “Monumentale”, “Cristina”, “Maya colpisce ancora” sono quanto di più trascinante si sia sentito ultimamente.
Nota a margine: trovo molto interessante, da parte di alcuni artisti, questo riavvicinarsi alla grande musica pop del passato. Un Dente che si avvicina all’ultimo Battisti guadagnando in complessità, i Verdena che dallo stoner di “In requem”, virano verso le sperimentazioni di Wow ispirati dai Beach Boys perdendo incredibilmente leggerezza e guadagnando in comuncatività e i Baustelle, che, con questo disco, raggiungono i vertici della musica italiana sfruttando anche il semi-sopito amore degli ascoltatori per il caro vecchio concept. Come non pensare a “Non al denaro non all’ amore ne al cielo” e “Tutti morimmo a stento”, vicini pure come tematiche e sicura fonte di ispirazione. C’è anche la compattezza musicale del propria del concept album, ma ho l’impressione che sia stata delegata principalmente all’orchestra. Impossibile comunque negare che, con questo disco, siano stati i più vicini ad avvicinarsi al semidio genovese dopo la sua morte.
Altro punto a favore è che l’intero album è egregiamente calato nei nostri giorni, rischiando pure la denuncia in un paio di punti. Un brano emblematico è “Futuro”: il più claustrofobico e drammatico dei brani, l’unico senza uno spiraglio di speranza, fitto di schiaffi in faccia all’ascoltatore “…un amico entrato in chemioterapia…”, “…il futuro cementifica/la vita possibile”. Alla fine del brano non resta altro che lasciarsi cullare dall’allegro e consapevole apocalisse di “Maya colpisce ancora”.
Ora, fatico sinceramente a valutare quale sia stato il peso di Gabrielli negli arrangiamenti: primo, perché non ho una conoscenza sufficientemente approfondita dei dischi precedenti dei Baustelle (non sono mai riuscito ad andare oltre il primo ascolto) e secondo, perché non riesco a pensare a un disco italiano recente senza arrangiamenti di Gabrielli con cui fare un confronto. Seriamente: quanti anni sono che quest’uomo non dorme?
Una cosa che mi ha lasciato perplesso è non aver trovato, documentandomi, nessuno che facesse il nome di un altro grande legato a questo disco, forse perché relegato ad un'unica traccia. Mi sembra comunque doveroso notare che la principale fonte di ispirazione per “Il finale” sia Giorgio Gaber, con tanto di Bianconi che sembra aver cantato il brano posseduto dal fantasma del Signor G.
In ultima analisi questo è un lavoro talmente eccellente, da far pensare che in calce all’ultima pagina degli spartiti orchestrali possa essere stato scritto un enorme “Sooca!” in direzione di chi dovrà confrontarsi con questo immenso monolite musicale negli anni a venire. Vero è che qualche piccola flessione la si può trovare all’interno del disco, ma si sa, la perfezione non esiste (a meno che non si parli di Sgt. Pepper) ed è comunque insignificante rispetto alla grandiosità complessiva.
E’ un disco importante, lo è ora, lo sarà in quel fantasma che chiamano futuro. Quanto detto non è sufficiente? Bene, allora aggiungo che Bianconi non fa altro che parlare di morte e di assenza, ci trasmette il peso di ogni singola parola, eppure non si riesce a resistere dalla voglia di canticchiare ogni brano.